La cengia del M. Rossa (1131 m)

Da Faidona per cresta nord al Ciucul Taront e poi per cenge fin sulla cresta est del M. Rossa e per la cresta in cima.

Ho asserito nella puntata precedente (qui per chi se la fosse persa) che mettere mano alla propria esistenza è l’avventura più grande che un individuo può fare ed è un’operazione creativa, gioiosa, edificante. Qualsiasi cosa si decida di fare nella propria vita essa avrà i connotati dell’avventura. Ogni situazione che mette a repentaglio la stabilità, la sicurezza, l’immobilità del vivere è avventura. Difatti si dice avventura il tradimento in una coppia e anche altre situazioni dirompenti.

Non è necessario fare cose grandi, eclatanti, eroiche, l’importante è uscire dalla stagnazione in cui, a volte, ci costringe il nostro modo di vivere.

Con questo non voglio avallare qualsiasi comportamento, perché questi dovrebbe rientrare nell’etica e nella morale; non dico a nessuno di rapinare una banca o picchiare l’autista di un bus per vivere un’avventura al di fuori della routine quotidiana.

Andare in montagna è un comportamento lecito, che non lede le libertà altrui e che realizzato in un certo modo è avventura.

Spazziamo subito il campo da una valutazione facile da fare: l’avventura non sta nel rischiare la pelle; questo deve essere chiaro ora perché altrimenti l’esposizione seguente non potrà essere compresa. Piuttosto il senso dell’avventura in montagna sta nel portare a casa la pelle.

Sono quasi certo che nessuno che va in montagna a divertirsi in compagnia, fare salite, andare a ferrate e rifugi si auguri, quando parte, di riuscire a sopravvivere: è una cosa assurda pensare di rischiare di morire in giornate di sole e cieli splendidi, in mezzo ai fiori e acque cristalline. Ma la montagna è in salita e verso il basso agisce una forza chiamata gravità. È una legge, c’è poco da dire ancora (forse solo ricordare che le rocce sono più dure delle nostre ossa).

In che modo, vi chiederete, è dunque possibile vivere un’avventura in montagna con queste premesse? Lo so che vi pare strano questo concetto e per rincarare la dose vi dico anche che la spregiudicatezza, il rischio per il gusto del rischio, l’adrenalina, non sono avventura: l’avventura è vivere, non è cercare di morire.

Vi sto ribaltando il concetto? Bene, ne sono contento.

Siamo talmente assuefatti noi moderni alle situazioni cosiddette normali che le facciamo e non ci pensiamo più di tanto. Prendiamo ad esempio guidare un’automobile: è un’avventura! Ce ne accorgiamo quando da avventura diventa sventurato incidente. Ogni volta che guidiamo un’auto si devono mettere in pratica tutta una serie di conoscenze ed esperienze, buone pratiche e attenzioni. Perché guidare non è il nostro mestiere e lo facciamo più o meno giornalmente o sporadicamente ed è una attività che rompe di fatto la piatta vita quotidiana. Sono pochi ad essere coscienti di avere tra le mani un mezzo pericoloso, animato non come la montagna dalla gravità, bensì dalla velocità. Ma è la stessa identica situazione: in entrambi i casi, automobile e montagna, se non si vuole morire c'è bisogno di attenzione, concentrazione, prudenza. Quando riponete la vostra automobile in garage vi sfiora mai l’idea di aver vissuto un’avventura e di esserne tornati sani e salvi? Se no, dovreste pensarci. Se sì, sapete bene cosa vi ha riportato a casa, non certo la fortuna, il caso o il destino: siete stati voi.

Faccio un altro esempio per facilitare la comprensione. Impariamo a camminare da piccoli e ne facciamo un vero e proprio automatismo che include la collaborazione e coordinazione di molti organi del nostro corpo. In seguito camminiamo senza pensarci come avere sempre innestato il pilota automatico. Ma in situazioni particolari il comandante di un aereo disinserisce il pilota automatico e prende in mano la cloche.

Ecco: possiamo prendere in mano la cloche del nostro deambulare quando ad esempio siamo su una cengia esposta o su una cresta affilata. Possiamo uscire dall’automatismo e passare, per così dire, in modalità manuale: questa è avventura, questo è spezzare la consuetudine. Non lo stare in cresta o in cengia è l’avventura, bensì essere capaci di guidare la nostra mobilità in quei frangenti.

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